Ritirarmi nel bosco era un atto di ribellione. Mamma mi aveva proibito di andarci, quando scendeva la sera, e quindi non vedevo l’ora di attraversare la prateria e raggiungere quei sentieri bui ricoperti di foglie. Il sole si stava tuffando dietro gli alberi e le cicale frinivano come maracas elettriche. L’erba e i fiori di campo mi arrivavano alle spalle, la vegetazione era così fitta che nemmeno qualcuno furioso quanto lo ero io in quel momento si sarebbe sognato di attraversarla. Mi tenni sul sentiero. A mano a mano che ti addentravi nella prateria, la temperatura scendeva di qualche grado, ma l’afa non cessava. I rumori provenienti dalla Statale 41 erano più forti, la sera: filtravano attraverso il bosco e i fili della linea elettrica. Una motocicletta, in lontananza, sfrecciava a tutta velocità; probabilmente stava sorpassando una macchina. Il motore fischiava, andava su di giri e poi svaniva. Il suono dell’impazienza. E della fuga. Un suono che conoscevo anch’io. Il boato di un petardo che esplodeva. Se ne sentivano sempre meno, una volta passato il 4 luglio; ma poi verso la fine del mese, ad esempio, ne arrivava un altro. Boom! Qualcuno non riusciva proprio a fermarsi.